Questo progetto è in fase sperimentale, e si propone di raccontare attraverso la fotografia, storie e aspetti della vita e della società contemporanea. (#play, #buy, #bluescreen, #humans, #social, #move, #work)
Perché una fotografia è la rappresentazione visiva di un istante attraverso l’immagine, è una testimonianza, è un’espressione, è una emozione, è un documento, è un racconto, è tanto altro ancora. #you’re beautiful
…non guardiamo o riproduciamo fotograficamente il mondo che ci circonda in maniera passiva, ma agiamo su di esso, sia che si tratti di vedere qualcosa che prima non vedevamo, sia che si tratti di far vedere ad altri quello che noi stessi vediamo.
Lo sguardo è euristico perché ogni volta porta a un incremento di conoscenza su ciò che ci circonda, che si tratti di natura, di artefatti, di relazioni, di oggetti, di eventi. Come aveva già sottolineato Benjamin parlando di “inconscio ottico”, «lo scopo della fotografia è sempre stato, almeno nei suoi momenti più alti, proprio quello di rendere visibile l’invisibile, e la sua vocazione primigenia […] è quella di creare immagini di cose che altrimenti non potrebbero essere osservate a occhio nudo».
L’idea dell’inconscio ottico deriva dalla consapevolezza che la macchina fotografica permette di fissare elementi che guardiamo ma che in realtà non vediamo, poiché restano nel nostro inconscio. Quando scattiamo una foto, mettiamo inconsciamente nella stessa cose che poi potremmo vedere anche in un secondo tempo. La macchina è meccanica, registra ciò che passa davanti all’obiettivo; il vedere invece è, come abbiamo già visto sopra, un processo mentale, e richiede uno sforzo, un riconoscimento e una interpretazione e una riflessione che aumentano la nostra conoscenza delle cose.
«La fotografia è intrinsecamente rivelativa ed euristica: mette a nudo – secondo Benjamin in modo analogo alla psicoanalisi – un mondo sconosciuto allo stesso soggetto, ciò che cade al di sotto della soglia percettiva minima. Essa mostra il lato nascosto delle cose, la loro fodera visiva.
Per questo motivo la metafora dell’inconscio ottico è stata utilizzata anche per spiegare la situazione in cui si trova l’occhio del fotografo: mentre la fotocamera registra tutto quello che casualmente inquadra, egli percepisce solo i dati primari (e in particolari condizioni neppure quelli).
Sarà soltanto un esame più attento dell’immagine a rivelare dettagli che al momento dello scatto erano invisibili, e perciò paragonabili a objets trouvés». Il soggetto quindi dovrà scendere nelle profondità del suo inconscio ottico, e ciò richiede uno sforzo, perché «Vedere è già un’operazione creativa che richiede uno sforzo. Tutto quello che vediamo nella vita di tutti i giorni subisce più o meno delle deformazioni generate dalle abitudini acquisite, e il fatto è forse più marcato in una epoca come la nostra, nella quale cinema, pubblicità e riviste ci impongono quotidianamente delle immagini preconfezionate, che sono un po’ come nella visione, quello che sta il pregiudizio all’intelligenza» (Matisse, 1953)…
Giuseppe Losacco, Isabel de Maurissens – Educare allo sguardo euristico